Siamo in un memento storico in cui, come nella Resistenza e nel dopoguerra, si ripete una situazione dove il destino individuale è legato a quello dell’umanità intera. E in cui abbiamo la possibilità di essere artefici di un nuovo inizio che avrà ripercussioni nella vita di tutti.
Lo ha spiegato con grande intelligenza lo storico israeliano Yuval Noah Harari quando ha dichiarato che l’uscita dalla pandemia e la costruzione del futuro non è qualche cosa di deterministico che dipende da Dio o dalla fortuna, ma esclusivamente dalle nostre scelte collettive. I miracoli su questa terra li possono fare solo gli uomini, scriveva Hans Jonas nel secolo scorso quando ricordava che Auschwitz era nato da una decisione degli uomini e che invece uomini per bene avevano dato la loro vita per fare rinascere un mondo nuovo.
Ebbene, come osserva Harari, ancora oggi gli uomini possono essere gli artefici di azioni collettive che possono cambiare la storia.
Sono tre le decisioni fondamentali da prendere.
1) Scegliere se affrontare questa crisi con l’isolamento nazionalistico dove ogni Paese è in competizione con l’altro, oppure costruire un percorso di solidarietà internazionale che non lasci indietro l’Africa, l’India e l’America latina e i diseredati nei campi profughi. La pandemia non si vince in un Paese solo immaginando dei muri invalicabili tra una nazione e l’altra, anche perché il virus non si arresta alle frontiere. Nessuno lo dice ad alta voce, ma qualcuno ritiene che ci siano degli uomini “superflui” che si possono abbandonare al loro destino nelle zone più povere del mondo. Qualcuno nell’estrema destra vorrebbe che il distanziamento sociale e le misure di autoprotezione diventassero un meccanismo di indifferenza nei confronti dei più poveri e dei più deboli. Lo abbiamo visto persino nelle società avanzate dove alcuni – penso al primo ministro inglese Boris Johnson in modo plateale, ma altri con mezze parole e affermazioni ambigue – hanno ritenuto che fosse inevitabile la perdita delle persone anziane più vulnerabili nei confronti del virus, quando invece l’allungamento delle aspettative di vita è una delle grandi conquiste della modernità.
2) Impedire che da questa emergenza nascano nel mondo nuove tentazioni autoritarie e riprendere il cammino della lotta per la democrazia in ogni parte dal pianeta.
Ci accorgiamo non solo che i regimi autocratici e dittatoriali, a partire dalla Cina, hanno allertato in ritardo le popolazioni per l’epidemia e ne hanno fatto occasione per restringere ulteriormente i diritti democratici, ma anche che la democrazia nel pianeta esiste ancora in pochi Stati e l’Europa rappresenta un’isola che non solo deve essere salvaguardata, e deve diventare un esempio per il mondo intero. Non possiamo esportare la democrazia con la forza, come volle fare George Bush in Medio Oriente con l’invasione dell’Iraq, ma le istituzioni internazionali e le opinioni pubbliche non possono tacere di fronte a quei leader che hanno varato leggi eccezionali non solo per combattere il virus, ma per rafforzare il loro potere autoritario in ben 84 Paesi, come ha ricordato l’Economist-, da Viktor Orbán in Ungheria, a Jair Bolsonaro in Brasile, Rodrigo Duterte nelle Filippine, Recep Tayyip Erdoğan in Turchia, e primo fra tutti l’onnipotente Xi Jinping in Cina.
Può sembrare paradossale, ma proprio perché la lotta contro la pandemia in tutto il mondo richiede la partecipazione dei singoli individui nelle loro vite e non può dipendere solo dagli ordini dall’alto e dalle applicazioni tecnologiche, l’allargamento della democrazia e di diritti umani è fondamentale per vincere questa battaglia.
Ecco perché se saremo capaci di leggere con intelligenza politica il corso degli eventi e ascolteremo le voci di coloro che cercano di resistere ovunque ai dittatori potremmo riproporre gli ideali della democrazia e del pluralismo a livello universale come è accaduto dopo la sconfitta del nazismo e la caduta del muro di Berlino.
La mobilitazione contro il virus potrebbe diventare così un nuovo Rinascimento della democrazia in tutto il mondo e rompere molti muri che oggi ci sembrano insormontabili negli Stati teocratici, nelle democrazie illiberali, nella Russia autoritaria di Putin e nel comunismo cinese da cui tutto è partito.
3) Ascoltare la voce degli scienziati che non solo ci allertarono sul pericolo delle pandemie ma che rimangono ancora inascoltati sul monito che ci hanno lanciato sui cambiamenti climatici. Oggi è necessario non accettare più che la politica sia in mano ad incompetenti e populisti, perché se non ci si affida alle conoscenze che la ricerca scientifica ha sviluppato in tutti i campi non si potrà essere in grado di salvare il pianeta. Ci vuole un’alleanza tra la scienza e la politica per affrontare le nuove emergenze, come forse mai è capitato nella storia.
Cosa succederà per esempio con lo scioglimento dei ghiacciai dell’Antartide e l’innalzamento dei mari? Potremo impedire e governare questi fenomeni solo se guidati da una nuova élite politica con una formazione scientifica adeguata. Non è più possibile che il Presidente americano suggerisca di iniettarsi dei disinfettanti contro il virus o continui a negare i cambiamenti climatici. In questi giorni l’immagine di Trump non è solo il segno della caduta di una leadership morale degli Stati Uniti nei confronti del mondo, ma la rappresentazione della crisi della competenza nella politica. Si è accettata l’idea che per governare bastasse essere showmen capaci di divertire le persone in televisione, di raccogliere adesioni sui social con frasi ad effetto, di parlare alla pancia della gente proponendo il disprezzo degli avversari politici e ricette miracolose. Nessuno si chiedeva se un politico avesse studiato, conoscesse la storia, la scienza, l’architettura, la filosofia, se avesse competenze economiche, scientifiche e amministrative. Bastava che raccogliesse gli applausi nel dibattiti televisivi o like sui social per poi considerarlo degno di ricevere il nostro voto e di governare. In questi giorni si prova invece una sorta di fastidio vedendo quante persone incompetenti si trovino ai massimi vertici della politica. Quando parla in televisione un medico o un epidemiologo, ci si sente rassicurati anche se non ci offre la certezza della cura; quando prende la parola qualche politico si ha la sensazione del nulla al potere. Negli Stati Uniti la stella di Trump ha cominciato ad offuscarsi di fronte alla competenza scientifica del virologo Antony Fauci, che con la sicurezza che derivava dalle sue conoscenze non ha mai taciuto di fronte alle manifestazioni di incompetenza del Presidente americano.
Attorno a queste grandi questioni, indicate con straordinaria lucidità da Harari, Gariwo vuole dare un contributo per fare conoscere nei propri Giardini dei Giusti gli uomini migliori che oggi si sono assunti il compito di prendere in mano le decisioni fondamentali del nostro tempo.
Perché l’umanità possa scegliere nel modo migliore nelle situazioni di emergenza, ci vogliono dei grandi esempi di uomini visionari che ci indichino la strada da percorrere.
È accaduto durante la lotta di liberazione dal nazismo, dove grandi figure politiche, intellettuali, artisti, scienziati, imprenditori, uomini coraggiosi furono capaci di prendersi sulle spalle le redini del mondo.
Ecco perché con il nostro lavoro ci sforzeremo di far conoscere degli esempi di uomini che oggi lottano per la collaborazione internazionale, per la difesa della democrazia contro ogni forma di imbarbarimento e di controllo autoritario delle persone, per ridare alla conoscenza e alla scienza un ruolo di guida e orientamento.
Noi crediamo, come avevano intuito grandi filosofi come Baruch Spinoza e Soren Kierkegaard, nel ruolo fondamentale non solo delle idee, ma degli esempi concreti degli uomini in carne ed ossa che creano la magia dell’emulazione.
Dobbiamo cercare e far conoscere le donne e gli uomini Giusti del nostro tempo perché ci aiutano a pensare, a scegliere, a ritrovare il gusto del futuro e della speranza.
di Gabriele Nissim