L’emergenza coronavirus ha imposto a molti gli “arresti” domiciliari. Come stiamo vivendo questa misura cautelare? Ammazziamo semplicemente il tempo, per non impazzire, oppure consideriamo questo momento di sospensione come un’opportunità, da non sprecare?
Per farvi un esempio, l’altro giorno ero al telefono con mia madre. Mi raccontava che stava facendo ordine tra i suoi documenti: scartoffie di ogni genere che col tempo si erano accumulate in cassetti, scatoloni e armadi.
Parlando con mia sorella, anche lei mi ha confidato che stava facendo altrettanto. Entrambe sostenevano di provare una grande soddisfazione in quell’esercizio di “messa in ordine”, che fino a quel momento non trovavano mai il tempo di iniziare, per non parlare di portare a termine. L’esercizio comportava il visionare i documenti accumulati, a uno a uno, a volte associati a ricordi ed emozioni, e per buona parte di loro lasciarli andare, una volta per tutte, cioè eliminarli, andando così a creare più spazio. Non solo più spazio fisico, nei cassetti e negli armadi, ma anche, e soprattutto, più spazio mentale.
Dopo aver parlato con loro, per associazione mi è venuta in mente l’esperienza della cosiddetta “visione panoramica” (life review), che molte persone raccontano di aver vissuto durante un’esperienza di premorte (near death experience). Questa comporta il rivivere in modo accelerato il proprio passato, come in un film, non solo sotto forma di immagini, ma anche di emozioni e sensazioni. Molti neuroscienziati sono fiduciosi di poter spiegare questi fenomeni su basi neurofisiologiche, sebbene vi sia un conflitto tra la possibilità di tali rivisitazioni, perfettamente coscienti, e il fatto che il cervello si trovi in una condizione di non funzionamento per quanto attiene alle sue funzioni mentali superiori. D’altra parte, così come una visione corpuscolare della materia non è in grado di descriverne tutte le proprietà, allo stesso modo, non tutte le proprietà della mente sono forse riconducibili alla sola attività del nostro cervello.
Ma per tornare all’interessante esercizio di “messa in ordine” di mia madre e mia sorella, questo parallelo con le esperienze di premorte mi porta a osservare alcune cose. Lasciare andare vecchie memorie è un processo simile a una “piccola morte”. Perché nelle nostre memorie, nel nostro passato, c’è una parte della nostra identità. Questa è da intendere in senso dinamico, come a qualcosa in divenire, frutto di incessanti processi di scoperta e di creazione. Di scoperta, perché esistono strati più profondi in noi, più permanenti, che possiamo scorgere solo se realizziamo che la nostra personalità è simile a un vecchio abito, che indossiamo da molto tempo, tanto da dimenticarci di ciò che esso riveste. Di creazione, perché siamo esseri in evoluzione: partendo da ciò che realmente siamo, ciò che si trova sotto l’abito della nostra personalità, possiamo nel tempo costruire nuove versioni di noi stessi, possibilmente migliori rispetto alle precedenti.
Tutto questo richiede di attraversare, ciclicamente, dei momenti simili a delle “piccole morti”, dove lasciamo andare un “fardello” di memorie ormai incompatibili con i nostri nuovi progetti di vita. Magari dei progetti non ancora chiaramente espressi e formulati, ma che possiamo in qualche modo già presagire. Ma proprio perché ci identifichiamo con il contenuto delle nostre memorie, con il nostro passato, che riverbera e condiziona il nostro presente, spesso purtroppo non in modo positivo, la tendenza è di rimandare il più possibile queste “piccole morti”. Non c’è mai il tempo di prendersi un po’ di tempo per “morire a sé stessi” e, di conseguenza, per “rinascere a sé stessi”. E se il tempo c’è, siccome il processo un po’ ci inquieta, abbiamo tendenza a procrastinarlo il più possibile. Ma la morte, ogni forma di morte, non va temuta, perché essa non si oppone in alcun modo alla vita: come la nascita, la morte è semplicemente uno dei tanti momenti che scandiscono la vita. Ci sono naturalmente piccole e grandi morti, piccole e grandi crisi, piccoli e grandi rinnovamenti, piccole e grandi nascite e rinascite, ma di questo si tratta, di appuntamenti ciclici, inevitabili, perché ogni processo di trasformazione richiede che il vecchio muoia affinché il nuovo possa nascere e crescere.
Sempre per associazione, questa riflessione mi riporta al concetto buddista di bardo, di “stato intermedio”, di transizione, tra morte e rinascita. Se vi racconto questo non è per convincervi della possibilità della reincarnazione, ma per contemplare con voi il potente simbolo che l’idea di bardo evoca. Quello di un periodo di preparazione tra un momento di vita e il successivo. Può essere inteso come periodo di riposo, certamente, ma anche come periodo di studio, di riflessione, di pianificazione, al fine di massimizzare la grande opportunità che una nuova vita rappresenta. E naturalmente, per vivere una nuova vita è necessario prima spogliarsi dell’abito della precedente.
Permettetemi un esempio. Ogni notte, quando andiamo a dormire, viviamo non solo una piccola morte (stato ipnagogico), ma altresì un piccolo bardo, un intervallo tra due vite, una sospensione della coscienza di veglia ordinaria. Siamo così abituati a questo processo che la cosa non ci preoccupa minimamente. Ogni mattino, al risveglio (stato ipnopompico), sbocciamo a nuova vita, quella del nuovo giorno che ci aspetta. A volte le nostre notti sono come dei veri e propri blackout, così al risveglio poco o nulla è cambiato rispetto al giorno precedente, ad esempio per quanto riguarda il nostro stato d’animo e la nostra visione del mondo. Altre volte invece, scopriamo che la notte ci ha portato consiglio, che è stata ricca di nuovi insegnamenti, così ci alziamo rinnovati, con nuove risorse, nuove idee e intuizioni, per il nuovo giorno che si apre a noi.
Veniamo ora al periodo molto particolare che stiamo vivendo. L’avvento della crisi sanitaria del coronavirus ha portato molti a sospendere le proprie attività abituali; a sospendere la propria vita potremmo dire, ritrovandosi confinati per lungo tempo nella propria casa. Questo periodo di “arresto delle attività abituali”, è come un bardo, un intervallo tra due vite, quella prima del coronavirus e quella dopo il coronavirus. Molti in questi giorni avranno sentito parlare della necessità di operare un profondo cambiamento nella società umana, che questo virus è solo il sintomo precursore di un inevitabile cambiamento di rotta. Naturalmente, questo cambiamento va operato a diversi livelli, ma di una cosa possiamo essere certi: potrà avvenire e stabilizzarsi solo ella misura in cui verrà agito anche a livello individuale.
Si pone a questo punto una domanda. Come stiamo passando questo intervallo tra due vite, questo inatteso periodo “intermissivo”? Ci stiamo preparando per la nostra nuova vita, quella “dopo il coronavirus”? Stiamo sfruttando il tempo a nostra disposizione per rivisitare le nostre “vecchie scartoffie” ed eliminare quelle ormai inutili? Perché per proseguire il viaggio, è necessario sganciare la zavorra. Abbiamo considerato l’importanza di abbandonare gli aspetti più negativi del nostro vecchio abito mentale? Quale sarà il nostro contributo a questa grande opportunità di rinnovamento? Torneremo alla nostra vita di sempre, senza modificare uno iota della stessa, come se nulla fosse? Purtroppo, per molti sarà proprio così. Per molti questo periodo “a casa” sarà solo il pretesto per lamentarsi di più, per impigrirsi di più, per abbruttirsi di più.
L’altra possibilità, che vale la pena di esplorare in questo “periodo intermedio”, è quella di fare ordine e creare più spazio nella nostra vita, e in questo spazio più dilatato, in questa rinnovata qualità, provare a manifestare qualcosa di veramente nuovo. Un nuovo progetto di vita, una nuova “missione”. Se non sapete come fare, vi suggerisco una tecnica molto potente, che in questo particolare momento assume ancora maggiore forza e pregnanza, perché ci ricorda che non siamo immortali, o meglio, che la durata di questa nostra vita è finita, e che il tempo non è qualcosa di riciclabile. Poi, naturalmente, il nostro viaggio potrebbe proseguire altrove, ma questa è un’altra storia.
La tecnica si chiama “un anno di vita”. Un avvertimento: può essere usata con vantaggio solo da individui con sufficiente maturità psicologica e non è sicuramente adatta a persone troppo giovani, ad esempio ancora in formazione. Si tratta molto semplicemente di porsi e agire la seguente domanda:
Se mi restasse un solo anno di vita, quale obiettivo sarebbe per me prioritario raggiungere, prima di lasciare questo piano di esistenza?
Quindi, fate come se vi restasse realmente un anno di vita e passate all’azione, alfine di raggiungere l’obiettivo in questione. Tutta la difficoltà (e potenza) della tecnica sta ovviamente nel riuscire a immedesimarsi a sufficienza nella simulazione, e imprimere così una potente accelerazione alla propria vita, nell’arco dell’ipotetico anno di vita che rimane. Dico “ipotetico” perché nessuno di noi sa quanto tempo realmente ci resta, forse molto di più di un anno, forse meno. In altre parole, tutta la difficoltà della tecnica sta nel prendere la tecnica sul serio.
Ora, molti si renderanno subito conto di non essere ancora pronti ad applicarla. Non preoccupatevi, è più che normale. Come ho detto, si tratta di una tecnica molto potente. Il mio consiglio è di allora continuare a fare ordine e creare spazio. Nel farlo, potete porvi le seguenti domande: Cosa mi impedisce di applicare in questo momento la tecnica? Quali sono gli ostacoli? Quali le risorse mancanti? Mi sto dando da fare per acquisirle? Se non lo sto facendo, quali sono gli ostacoli?
Concludo questo mio spunto di riflessione ricordando ancora una volta che ci troviamo nella pausa tra un espiro ed un nuovo inspiro; in una fase di sospensione che prelude a una nuova immersione. Ci troviamo in un mini-bardo. Se siamo lucidi a sufficienza, è facile comprendere l’importanza di questo momento; un momento perfetto per formulare un nuovo progetto, per lanciarsi in una nuova sfida. Sempreché siamo interessati a prendere in mano le redini della nostra vita, e consapevoli di essere i soli responsabili della nostra evoluzione.
di Massimiliano Sassoli de Bianchi