Abbiamo fatto un gran parlare di “Disruption” in questi anni in rapporto alle nuove tecnologie, alla digitalizzazione, all’intelligenza artificiale e agli impatti evidenti sui processi di produzione nelle fabbriche, nei magazzini, negli uffici, nei modelli di erogazione e distribuzione di beni e servizi di ogni genere. Gli effetti “disruptive” si sono fatti sentire pesantemente anche sui rapporti sociali, sull’interazione tra individui e gruppi, ma questa emergenza sanitaria mondiale, questo “cigno nero” chiamato Covid-19 (in realtà previsto da molti infettivologi, specie dopo le epidemie di Ebola e Sars, ma, sappiamo, quanto l’uomo sia irrazionale e sordo) ha forse innescato un’accelerazione della disruption sistemica.
Nel giro di poche settimane individui e soggetti collettivi ci siamo confrontati con cambiamenti radicali nel processo di produzione e di distribuzione, oltre che nell’organizzazione sociale, ma si sta stagliando all’orizzonte un cambiamento generale e globale che potrebbe toccare il modello economico sul quale ci siamo basati negli ultimi decenni e che si è consolidato dopo la crisi innescata dallo scoppio della bolla del credito nel 2007. Se ciò avvenisse la rottura potrebbe anche intaccare le fondamenta del sistema capitalistico come lo conosciamo nei nostri paesi, andando a riscrivere i rapporti tra soggetti collettivi, ovvero tra Stato e organizzazioni sovranazionali, imprese, categorie o classi nella definizione marxiana, gruppi di cittadini o utenti, fasce di età.
Il prezzo del petrolio inferiore a 30$ al barile per decenni (salvo brevi parentesi), fino all’inizio degli anni Duemila, unito a un costo del denaro in tendenziale ribasso anche per decenni, con un inabissamento negli ultimi 10 anni, hanno permesso la formazione dell’attuale modello globalizzato. La dislocazione delle produzioni e dell’erogazione di servizi in tutti i paesi del mondo non sarebbe avvenuta se non avesse potuto contare sul basso costo delle materie prime fondamentali al trasporto (il petrolio) e al finanziamento (il costo del denaro). Il risultato è un modello organizzativo e di sviluppo frutto di una accelerazione incredibile, sicuramente non ponderata da una comunità “pensante” e “pianificante”, con l’eccezione forse della Cina che si è potuta permettere, grazie al proprio sistema centralizzato capital-comunista, di giocare il doppio ruolo di soggetto utilizzato e utilizzatore di quanto stava avvenendo a livello di modello globale.
I cambiamenti complessi, ma radicali, che intravvediamo (blocco delle attività, “social distancing” e lavoro/interazione in remoto, commercio fermo, lavoro da casa, socializzazione delle perdite, ecc.) stanno trovando terreno fertile in una situazione in cui le politiche post crisi 2008 si sono focalizzate fondamentalmente sulla finanza, lasciando “correre” l’evoluzione della produzione e della distribuzione, alimentata e “diretta” dalla disruption tecnologica. Stati e organizzazioni sovranazionali (G7, G20, Banche Centrali, OCSE, UE, ecc) si sono fondamentalmente concentrati su politiche monetarie (liquidità in abbondanza, titoli di Stato, tassi) e di bilancio pubblico, con qualche incursione su territori classici del Welfare (pensioni, sistema sanitario), ma non hanno saputo o voluto tracciare una direzione riformistica o di cambiamento radicale del modello di sviluppo. E ciò malgrado le evidenti contraddizioni che via via emergevano dalla società, circa le disuguaglianze nella distribuzioni dei redditi generati e, soprattutto, dello stock di ricchezza, e gli impatti ambientali dello sviluppo spinto dal costo basso delle materie prime.
Sembra prendere piede la consapevolezza che, oltre alla necessità di “commutare” da politiche monetarie a politiche fiscali vere, gli effetti di Covid-19 spingono per immediate politiche di sostegno verso i settori della società che risultano colpiti, cioè tutti: produttori, distributori, stipendiati, manager, azionisti, funzionari pubblici, politici. Mai come in queste settimane assistiamo, in un crescendo che segue la diffusione del virus, anche a slanci unitari, solidali di interventi pubblici impensabili fino a poche settimane fa e che potrebbero avere effetti “disruptive” sull’attuale modello organizzativo. Forse sarà la volta buona per ricostruire, sulle macerie di un evento micidiale per l’economia, la sua organizzazione sociale, produttiva e distributiva, un nuovo modello, migliore, più solidale ed equilibrato, che faccia tesoro del meglio delle esperienze capitalistiche, socialdemocratiche e miste, ma anche più sicuro e pronto a reggere per il prossimo ciclo storico del neo Homo Sapiens. L’economia capitalistica e finanziaria si basa sul concetto di fiducia: fiducia nella moneta, nel contratto, nel sistema e, soprattutto, in un futuro migliore. Lo shock ci aiuterà forse a rilanciare la fiducia, ridefinendo le aspettative da soddisfare per realizzare la nostra felicità e il bene comune.
di Luca Soncini