Le donne sono state escluse dalle task force per la ricostruzione post-Covid?
Senza lamentarsi pubblicamente, senza inviare petizioni, senza rilasciare interviste polemiche, le due più note scienziate italiane, Ilaria Capua, direttrice del One Health Center of Excellence dell’Università della Florida, e Fabiola Gianotti, direttrice generale del Cern di Ginevra hanno deciso di crearselo da sé un comitato prestigioso e autorevole, scegliendo fior da fiore le migliori esperte internazionali – ma nel gruppo c’è anche un 30% di uomini: “guardiamo alla competenza, non al genere” spiega Capua. E in questa fase le competenze prioritarie sono l’ottica e l’esperienza femminile fatta di buon senso, partecipazione, interconnessione, pragmatismo: fattori fondamentali per trovare soluzioni innovative.
L’hanno battezzato Yellow Submarine, il loro progetto, con l’ironia e la leggerezza che è la cifra delle donne intelligenti. “Durante il Covid ci siamo sentite come dentro un sottomarino, ci incontravamo su Zoom, strette in una stanza virtuale, parlando lingue differenti e analizzando i problemi da prospettive diverse” ha raccontato Ilaria Capua a Giulia Belardelli del Huffington Post.
Yellow Submarine parte da un’idea pragmatica ma innovativa. Quella di “fotografare” il virus in tutte le sue manifestazioni per comprenderne il meccanismo d’azione, prima di proporre soluzioni che, al momento, non possono essere basate sulle conoscenze concrete, che sono troppo frammentarie e scoordinate. E dunque, raccogliere, standardizzare e analizzare le montagne di dati generati in tutto il mondo durante la pandemia, con la straordinaria potenza di calcolo del Cern, che ha messo a disposizione la piattaforma Zenobo, un archivio open access al cui interno verrà sviluppata un’area dedicata al Covid. Qui sarà possibile caricare vari tipi di dati: sia quelli raccolti in modo specifico da ospedali, istituzioni e persone, sia quelli raccolti con altre finalità, per esempio relativi a inquinamento, piogge, mobilità, per correlare i tracciamenti ai dati epidemiologici.
“Ma in questo mare di dati si rischia di annegare, soprattutto perché non sono stati definiti degli standard condivisi per il rilevamento” spiega Antonietta Mira, direttore del laboratorio di Data Science dell’Università della Svizzera italiana e professore di statistica all’Università dell’Insubria, coinvolta nel progetto Yellow Submarine. “Per esempio, i protocolli di somministrazione dei tamponi e il conteggio dei positivi varia da Paese a Paese e persino da ospedale a ospedale, e quindi i risultati non sono confrontabili; i decessi per Covid non sempre sono stati distinti dai decessi con Covid e ci sono distorsioni legate ai tempi di raccolta dei dati”. Insomma, la foto è sfocata: milioni di pixel ma non armonizzati.
Come arrivare a una immagine nitida e ben definita? Cinque le linee di ricerca stabilite con l’obiettivo di affrontare future crisi sanitarie con conoscenza di causa. 1. Cambiamento climatico e rapporto tra inquinamento e diffusione del Covid. 2. Natura e resilienza, ovvero come la natura ha reagito al lockdown – lo abbiamo visto tutti, i mari di nuovo azzurri, i delfini nei porti, il cielo pulito, persino le lucciole a Roma. 3. Le differenze di genere – perché la malattia ha colpito uomini e donne con percentuali e manifestazioni diverse (finalmente se ne parla: la medicina di precisione e in particolare la medicina di genere è la bussola verso il futuro); 4. Sorveglianza degli animali sia per il loro ruolo nella diffusione del virus sia come possibili alleati e sentinelle delle malattie; 5. il ruolo della vaccinazione antinfluenzale nel decorso dei pazienti che l’avevano fatta rispetto ai non vaccinati – un altro indizio importante di cui poco si è sentito parlare.
Del team fanno parte esperte ed esperti in matematica, fisica, economia, statistica, ingegneria, medicina, veterinaria, agronomia, climatologia: è un gruppo molto eterogeneo che si è creato spontaneamente, perché il Covid-19 sta fungendo da acceleratore di interdisciplinarietà. È la fine della scienza settoriale e si sta tornando finalmente a una visione leonardesca della conoscenza, che è umanistica e scientifica insieme, tiene conto non solo della persona nella sua interezza psicofisica, ma anche dell’ambiente e delle sue interazioni con l’umanità. Il Covid, come ho già scritto su queste pagine, è stato un hacker, che ha scardinato il sistema per mostrarne le debolezze e non si può ricostruire senza tenerne conto.
Yellow Submarine è un progetto rivoluzionario perché inserisce in un problema soprattutto sanitario la capacità computazionale, ovvero l’organizzazione e la strutturazione dei dati.
Un’altra novità è che sia il gruppo che la piattaforma di lavoro sono open, ovvero chiunque può collaborare, a differenza dei comitati chiusi sui quali si appoggiano le istituzioni. Finalmente una modalità da Terzo Millennio, a rete, orizzontale e non gestita dall’alto: la modernità tecnologica e intelligente contro i vecchi sistemi che hanno prodotto il degrado che ha aperto la strada al Covid, lo sguardo femminile dell’interdipendenza contro il culto maschile della piramide.
È una visione aperta a tutte le componenti positive della società. Il gruppo, per fare un esempio, sta predisponendo un progetto con Ilaria Borletti Buitoni e il Fondo Ambiente Italiano, per studiare in alcune proprietà del Fai come la natura si stia risvegliando proprio grazie alla diminuzione dell’inquinamento. Insetti, piante, animali selvatici possono essere indicatori preziosi, se si è consapevoli del ruolo che l’ambiente gioca sul benessere e sulla salute e anche sul sistema immunitario, che è la prima barriera contro i virus. Interdipendenza, potrebbe essere la parola chiave del progetto Yellow Submarine: dell’umanità con la natura, con le foreste che stiamo distruggendo, con gli animali selvatici che privati del loro habitat naturale vengono in contatto con noi diffondendo nuove malattie, dei mari che sono la fonte della nostra vita e che invece di amare e rispettare utilizziamo come discariche.
L’obiettivo delle scienziate non è quello di fornire una ricetta universale per risolvere i problemi sanitari, economici e sociali causati dal Covid. Ma di mettere a disposizione dati strutturati e modelli per analizzarli, che consentano via via di elaborare nuove soluzioni basate su informazioni reali e conoscenze interdisciplinari, non su supposizioni. Ilaria Capua lo chiama un “progetto trasformazionale”, flessibile, perché continuerà a cambiare mano a mano che nuovi dati si renderanno disponibili, dalla fase 2 e forse dalla 3 e poi ancora dalle successive. Perché la soluzione non può essere statica, ma deve adattarsi al decorso della pandemia, alle incognite che ancora presenta e anche alle caratteristiche territoriali, climatiche e genetiche degli individui. Seguendo una nuova logica, quella che lo scrittore Alessandro Baricco definisce tipica dei giocatori di videogames, abituati a provare diverse strategie e pronti a modificarle in tempo reale nel caso non si dimostrino vincenti.
di Viviana Kasam