Ripartiremo? Ripartiremo. Però con un po’ di paura.
Finché stiamo chiusi e obbligati da regole ferree tutto sembra andar bene, viviamo una vita protetta, tutti uniti contro un nemico comune. Forse un po’ impigriti ma fieri di come stiamo reagendo, di quello che stiamo capendo di noi, perché l’essere reclusi ci spinge inevitabilmente a comprendere i modi attraverso cui la vita si configura. Continuiamo ad essere obbedienti. Ci siamo adattati a un mondo piccolo piccolo, senza aspettative, fatto di compiti da eseguire, tempo da impiegare, quotidianità da riempire. Alcuni continuerebbero a stare benissimo così, si sono assuefatti alla tana, si lamentano soltanto per paura di essersi adattati troppo e perché vogliono restare fedeli alle differenze che proponeva il mondo precedente.
Penso alla sera prima del giorno in cui inizierà la fase due. Immagino di uscire dall’intorpidimento. Che succederà? A maggio i confini si allenteranno. Avremo molte decisioni da prendere: la paura di non riuscire a decollare, le preoccupazioni economiche, le scoperte che abbiamo fatto rispetto ai nostri insight psichici, la necessità di uscire da uno stile di vita semplice, forse regredito dalla disciplina delle regole dietro le quali ci siamo a forza nascosti.
Abbiamo detto che “l’era dei dilettanti è finita”, che è un tempo nuovo dove ci sarà bisogno di molta professionalità e di tanta competenza per gestire la complessità. Abbiamo parlato di cambio di paradigma, si dice che siamo radicalmente trasformati, che stiamo facendo un salto qualitativo, che i valori non possono che essere diversi, che la lentezza ci ha fatto da maestra.
Su cosa possiamo fare leva per ricominciare?
Sul senso di comunità, sul legame sociale che in questi giorni è mantenuto dal sentire che siamo tutti sulla stessa barca. Anche chi è per conto suo è stato incluso in questa lotta che ci vede solidali, mi auguro che riusciremo a continuare a sentirci una comunità pulsante, che pochi andranno per la propria strada, dietro a un proprio progetto singolo.
Potremo contare sul desiderio di tornare a esplorare, in un momento in cui la conoscenza si è evoluta, diventando un errare per stimoli, seguendo le emozioni e i capricci, portandoci in luoghi inesplorati. Abbiamo capito che si può imparare divertendosi, che esistono gruppi di interesse trasversali e transnazionali.
Sulla necessità di tornare a guadagnare, magari proponendo attività nuove, cercando proposte e opportunità fuori dagli schemi usuali, nuove alleanze trasversali.
Sulla sovrabbondante interazione del mondo virtuale, che è diventato un nostro organo di senso, un prolungamento del nostro cervello, un mondo ricco di potenzialità e scoperte.
Sulla voglia di sperimentare e sull’entusiasmo e sull’energia per farlo a livello personale oltre che collettivo. Mi auguro che saremo capaci di sporcarci le mani con la solidarietà e l’accettazione delle differenze; con l’accoglienza delle nostre inevitabili limitazioni.
Il giorno prima del passaggio alla fase due dovremo decidere molte cose, tra le altre:
- cos’è socialità e quale società vogliamo;
- se vivere una vita organizzata dall’etica oppure dall’economia (l’avere o essere che ci aveva proposto lo psicologo Erich Fromm già nel 1976);
- quali responsabilità ci vogliamo assumere rispetto al mondo, come mantenere viva una forza creatrice anziché arrenderci alla distruzione;
- se tornare all’auto-referenza e al solipsismo consumista o continuare il dibattito pluralistico che il virus ci ha dato l’occasione di sperimentare;
- se aprire al futuro e alle sue promesse indecifrabili o restare ancorati alle certezze del passato.
È il tempo per desiderare un mondo nuovo. È chiaro, vorremmo un mondo in cui i bisogni primari siano garantiti a tutti, ma dobbiamo stare attenti a non separare in modo incommensurabile l’idealizzazione dei desideri dalla realtà. È tutto da costruire, dipende da noi tutti. Io un po’ paura ce l’ho, ma ho anche tanta voglia di ripartire.
di Umberta Telfener